Cari fratelli e sorelle,
oggi la Chiesa fa memoria di due degli Apostoli del Signore: Simone, che l’evangelista Luca chiama “zelota“, cioè fervente osservatore della legge, e Giuda detto “Taddeo” che significa magnanimo, oppure anche coraggioso. Come in altri casi, molto scarse sono le notizie storicamente verificabili della biografia degli apostoli al di là dei dati forniti del Nuovo Testamento.
Secondo la tradizione Giuda avrebbe predicato il Vangelo in Giudea, Samaria, Idumea, Siria e Mesopotamia e avrebbe subìto il martirio a Emessa. Nella Legenda Aurea e nel Martirologio Romano San Simone è accomunato a San Giuda Taddeo, con il quale avrebbe predicato la Buona Notizia di Gesù in Egitto e Mesopotamia subendo insieme il martirio. In entrambi i casi, ciò che la tradizione mette in evidenza nella loro biografia, è la testimonianza che i due Apostoli resero al Vangelo sino a dare la vita.
Il Vangelo che la liturgia propone in questa festa è quello dell’invio dei discepoli nel Vangelo secondo Luca. Dopo aver pregato in solitudine sul Monte tutta la notte, Gesù chiama i discepoli, li chiama per nome, li costituisce Apostoli, inviati, cioè partecipi della parola del loro Maestro. A loro volta portatori dell’annuncio inaudito del Vangelo che sono chiamati ad ascoltare.
Dalla gran moltitudine di gente e tra la gran folla dei suoi discepoli, Gesù ne sceglie dodici, come dodici sono le tribù di Israele: sono gli “Apostoli”, cioè gli inviati, i destinatari primi del discorso della promessa.
Attorno a Gesù si delineano così come tre cerchi concentrici: i dodici, i discepoli e il popolo. In altre parole anzitutto coloro che Gesù stesso ha scelto, poi coloro che erano interessati al suo insegnamento e infine le folle venute da ogni dove affascinati dalla sua potenza taumaturgica.
Se le parole di Gesù saranno dirette essenzialmente alla folla dei “discepoli” (“alzati gli occhi verso i suoi discepoli diceva…”) tutta la moltitudine del popolo è convocata davanti all’evento di salvezza che si compie in Gesù per opera dello Spirito Santo (“da lui usciva una forza che guariva tutti”). Gli apostoli sono i primi associati nella missione di Gesù.
Nella comunità del Signore, la Chiesa, non c’è una gerarchia di merito o di potere ma una comunione di persone che desiderano condividere la vita di Gesù, che ne conoscono in grado diverso l’intimità e che stanno al servizio gli uni gli altri, per annunciare insieme il grande mistero della bontà di Dio che si è realizzata in Gesù di Nazareth.
Quale esperienza di intimità con Gesù ha avuto San Giuda Taddeo? Egli ha un’esperienza del suo Maestro che possiamo chiamare “contemplativa”. Come ci ricorda l’evangelista Giovanni, nell’intimità dell’Ultima Cena Giuda rivolge questa domanda a Gesù: “Signore come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo? Gli rispose Gesù: “Se uno mi ama osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui “.
Il Signore a Giuda rivela l’esperienza più profonda a cui è chiamato ogni discepolo: l’inabilitazione di Dio nel cuore di coloro che fanno spazio all’Amore. Sia Simone che Giuda sono condotti allo stesso luogo in cui si rivela loro il volto di Cristo, Egli che li ha chiamati a seguirlo. Il luogo dell’amore, quell’amore che li ha scelti e di cui sono chiamati a testimoniare nel mondo.
Il Signore continua a chiamare anche oggi. Chiama tutti noi, chiama anche oggi questa comunità parrocchiale di san Giuda Taddeo ad avvicinarsi al Vangelo.
In occasione di questa festa patronale chiediamo al Signore, per intercessione di San Giuda Taddeo, queste tre grazie: la prima, la magnanimità di spirito che ci renda aperti e generosi nella vita; la seconda, il coraggio per annunciare al mondo l’Amore che ci ha salvati e infine il dono dell’inabilitazione dell’amore divino in noi.
Nella nostra anima noi non siamo soli con noi stessi. L’anima in grazia e che vive nella carità è abitata dall’interno, in-abitata dalle Persone Divine che vi dimorano. La nostra anima è il vero tempio di Dio il quale vi dimora in modo particolare (San Francesco di Sales). Così, l’amore di Dio, il dono dello Spirito, non solo sarà per sempre con noi ma rimarrà presso di noi proprio perché sarà in noi. E così sia.