"PERCHÉ LA CONFESSIONE È IL SACRAMENTO PIÙ IMPORTANTE PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE".

INTERVENTO DEL PRESIDENTE INTERNAZIONALE DI "AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE" ONLUS, CARD. MAURO PIACENZA, ALL'INCONTRO CON LA SEZIONE TEDESCA - ALTÖTTING, 4 MAGGIO 2016

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Sono lieto di trovarmi con voi, accanto a questo amato Santuario mariano, nella prima settimana del mese tradizionalmente dedicato alla Madonna. Fra l’altro è bello che questo primo incontro con voi avvenga in questo Anno Giubilare dedicato al tema della Divina Misericordia, che ha il proprio apice nell’evento dell’Incarnazione, Morte e Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo. Nella Chiesa, Suo Corpo, questa misericordia viene ininterrottamente e fedelmente “amministrata”, cioè annunciata, servita e donata, a tutti coloro che, con cuore umile e contrito, la implorano e la accolgono.

Il tema affidatomi per questo nostro incontro pone sapientemente in luce la profonda unità tra il cammino dell’Anno Giubilare e la missione della Chiesa.

La “missione” appartiene alla più intima natura del Corpo ecclesiale, ed è inclusa nelle note della cattolicità e dell’apostolicità. Recentemente è stata invocata con urgenza, soprattutto per il mondo occidentale, dai pontificati di San Giovanni Paolo II, del Papa emerito Benedetto XVI e, adesso, di Papa Francesco, sotto il nome di “Nuova Evangelizzazione”.

Desidero sviluppare questo mio modesto contributo in tre tappe, considerando prima le circostanze nelle quali la Nuova Evangelizzazione è chiamata a muoversi, quale possa essere, poi, la risposta più efficace a queste circostanze e, infine, quale sia, in tale ambito, il ruolo imprescindibile del sacramento della Riconciliazione.

 

1. Le circostanze attuali

Questo nostro Occidente, definito da molti “sazio e disperato”, e forse ormai solo “disperato”, perché la crisi economica ha fatto venir meno anche la “sazietà”, ha ricevuto l’annuncio del Vangelo dalla viva voce degli Apostoli, lo ha accolto con gioia e radicalità, lo ha diffuso per tutto il mondo conosciuto, ha edificato su tale annuncio la propria vita, la propria cultura, la propria civiltà. Ha ricevuto, lungo i secoli, quella luce e quella vita, che sempre si sono irradiate dalla storia stessa della Chiesa, dalla verità del suo insegnamento, dalla forza dei suoi sacramenti, dalla santità dei suoi membri.

Il mondo occidentale, quindi, oggi disorientato, assetato e, purtroppo, avvelenato dalla menzogna che s’insinua per ogni dove, ha ricevuto, in verità, tutto ciò che è necessario per la salvezza: ha ricevuto l’annuncio di Cristo; ne ha vista crescere la presenza sacramentale, per mezzo del culto divino e della celebrazione dei sacramenti; ne ha approfondito la verità, grazie all’assistenza dello Spirito Paraclito e la dedizione degli unici veri “illuminati” della storia, che sono i santi di ogni tempo; ha maturato una dottrina viva, articolata, coerente ed armonica, che considera ed abbraccia ogni aspetto dell’umana esistenza e della convivenza civile; ha visto e vede fiorire, al proprio interno, innumerevoli forme di vita, dal monachesimo ai movimenti ecclesiali contemporanei, che testimoniano, con forza e radicalità, Cristo Presente, Vivo e Vero, Unico Redentore dell’uomo, Centro del cosmo e della storia.

Non è possibile, in questo contesto, ripercorrere l’intera parabola del pensiero moderno, che ha progressivamente consumato la fatale separazione della ragione dalla fede cristiana, dal cosmo creato e da quelle che potremmo chiamare le “coordinate corporee” dell’umana natura, riducendo l’uomo a “spirito e volontà”, come affermato da Benedetto XVI, nel monumentale discorso al Bundestag, del 22 settembre 2011.

Ciò che interessa rilevare, per ora, è che l’Occidente, pur continuando a “convivere con la Chiesa”, cioè con la presenza mistica di Cristo nel mondo, ha tentato di relativizzarne la presenza, considerandola non vincolante, perché, ormai - è questa la grande menzogna -, non più necessaria. Mi spiego.

Questo progressivo oscuramento della presenza di Cristo nel mondo è andato di pari passo con l’oscuramento del concetto stesso di verità. Si è cercato anzitutto di svincolare il concetto di verità dal nucleo della Rivelazione cristiana, con l’empirismo seicentesco e l’illuminismo di fine settecento; in secondo luogo, si è tentato di svincolare il concetto di verità dall’esistenza stessa di Dio, prima destituendola di fondamento scientifico, ad opera del positivismo novecentesco, poi negandola apertamente, attraverso il nichilismo ed il relativismo contemporanei; infine, in questi tempi, si tenta - e a livello legislativo, ahimè, accade già in diversi paesi - di svincolarla anche dal concetto stesso di natura e, quindi, da quell’ultimo dato di realtà, sul quale soltanto può fondarsi ogni distinzione oggettiva tra bene e male.

 

2. La risposta possibile

Questo nostro mondo occidentale, paradossalmente, ha ricevuto già “tutto”, ha “tutto” davanti ai propri occhi! Che cosa si potrà fare d’altro per convincerlo? Come si potrà salvarlo da questa corsa all’autodistruzione, verso la quale sembra dirigersi inesorabilmente? Cosa potrà ancora scuoterlo? Forse solo il martirio!

Ciò che ha sempre scosso il mondo, il mondo giovanneo, quello ostile a Cristo, quel mondo che vuole negare l’Agnello di Dio, che vuole crocifiggerLo ancora nei suoi membri, che vorrebbe vederLo relegato, per sempre, nel silenzio del Sabato Santo, è il martirio. Il mondo è stato scosso e convertito dalla morte, liberamente accolta, - mai cercata - a testimonianza della verità: il martirio primigenio e vittorioso di Cristo, anzitutto, e poi il martirio di tutti i Suoi amici: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a Me» (Gv 12,32).

Il martirio, infatti, è un annuncio, anzi una proclamazione della verità, fatta non solo a parole, non soltanto con le opere e nemmeno solo con l’impegno dell’intera esistenza, sebbene parole, opere ed orientamento della vita siano costitutive di ogni autentica disponibilità al martirio. Il martirio, però, è di più. È una proclamazione della verità di Cristo fatta col sangue, con il sacrificio della propria stessa vita; è una testimonianza sigillata con la morte. E dalla morte del martire s’innalza una voce potente, inconfondibile e feconda, che il mondo non è più in grado di mettere a tacere; una voce che ha la semplice pretesa di confessare la “Verità”, una Verità tanto grande da riempire di senso questa vita e l’eternità.

Dopo il martirio cruento, poi, la testimonianza più grande che l’uomo possa offrire è la verginità per il Regno dei Cieli, che annuncia Cristo Risorto e Presente in questa vita, sostenendo così il cammino di tanti fratelli e sorelle, oggi chiamati, sempre più, a pagare di persona per la fede in Lui.

A noi, che non abbiamo ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato (cfr. Eb 12,4), spetta il compito grave e urgente di abbandonare ogni rispetto umano, annunciando integralmente il Vangelo, senza riduzioni, censure, o presunti “aggiornamenti”, che tenderebbero ad addomesticarlo, a renderlo accettabile. E l’annuncio è che Dio si è fatto uomo in Gesù di Nazareth, Signore e Cristo, vive ed opera nella Sua Chiesa e non vi è altro Nome, al di fuori del Suo, nel quale essere salvati; a noi, forti della Verità e della Carità di Cristo Risorto, spetta inoltre il compito grave e urgente di liberare il concetto di verità dalle catene del positivismo logico e tecno-scientista, portandolo fuori dai meandri del relativismo e del nichilismo contemporanei; a noi, illuminati dalla Verità cosmica di Cristo ed obbedienti alla sua unica regalità, spetta, infine, il compito grave e urgente di riaffermare con nettezza la distinzione tra bene e male morale, indicando all’uomo la sua altissima vocazione all’Amore di Dio e dei fratelli, e continuando, proprio per questo, a farci carico del cammino di tutti coloro, che, pellegrini con noi sulla terra, accettano di lasciarsi accompagnare.

Solo la Verità di Cristo, anzi, che “è” Cristo, integralmente annunciata ed esistenzialmente percepita, potrà provocare nel cuore dell’uomo una corrispondenza tanto profonda da esigere anche la disponibilità al martirio, il morire, cioè, a questo mondo ed alle sue lusinghe, per Cristo; il testimoniarlo, se necessario, anche fino all’effusione del sangue. Certamente, già se si vuole essere coerenti con il proprio Battesimo, con la propria identità di fedeli laici, di fedeli ordinati o di religiosi, si è già soggetti ad un martirio incruento ma doloroso, fatto di emarginazione, di dileggio, di discriminazione, di ghettizzazione. Gli esempi si potrebbero moltiplicare a dismisura!

Credo non vi possa essere altra Nuova Evangelizzazione al di fuori di questa. Non sarà mai un “Vangelo-diverso” ad essere percepito come nuovo, né un Vangelo che, invece di sollevare l’uomo dalla polvere e condurlo alla méta, si “sieda” con lui in mezzo alla strada. L’uomo contemporaneo potrà percepire come nuovo, come irriducibilmente nuovo, solo il “Vangelo-vero”, il Vangelo di sempre, il Vangelo vissuto ed annunciato da duemila anni, l’unico capace di illuminare le profondità del suo cuore e di salvarlo. Il Vangelo testimoniato fino al martirio.

 

3. La centralità della Confessione

Alla luce sulla situazione contemporanea e gettando uno sguardo all’orizzonte che ci attende, diviene chiaro il ruolo determinante del sacramento della Riconciliazione.

La Confessione è il sacramento più importante della Nuova Evangelizzazione, perché porta con sé proprio questa triplice pretesa della Verità di Cristo, che vive ed opera nella Chiesa, che illumina l’intera esistenza dell’uomo e che la trasforma dal di dentro.

Anzitutto la Confessione porta con sé la pretesa che la Chiesa ha di essere, non per proprio merito, ma per grazia sacramentale - e quindi irrevocabile -, il prolungamento, il Corpo vivente di Cristo nel mondo. Una catechesi robusta e ben fondata nei suoi contenuti, che presenti la Confessione nella sua natura teologico-sacramentale e nella sua necessità spirituale, non potrà non indicare la Chiesa come Corpo del Figlio di Dio, al cui interno soltanto è possibile incontrarLo, conoscerLo e seguirLo. La fedeltà a questo dato elementare della nostra fede permetterà, più di qualunque altro espediente, di sottrarre la Chiesa a quella “competizione morale”, nella quale il mondo tenta di attirarla, mettendo a nudo i peccati dei suoi membri e tacendo scrupolosamente i propri.

È talmente profonda, infatti, questa identificazione, questa comunione d’essere tra Cristo e la Sua Chiesa, da non poter essere interrotta, né resa vana da alcun peccato. L’ultima parola sul peccato dell’uomo, infatti, spetta sempre e solo a Cristo Signore e questo Sacramento, con la sua sola esistenza, lo testimonia. Più di ogni altra parola, poi, ne sarà testimone ogni minuto che il sacerdote avrà trascorso in confessionale, attendendo fiducioso il ritorno del figliol prodigo, così come ogni volta che un fedele si sarà mosso e avrà piegato le ginocchia dinanzi a colui che, per grazia, amministra il Sangue di Cristo, sparso in remissione dei peccati. La Riconciliazione sacramentale è, per analogia, azione teandrica di Cristo, che rinnova la Sua fedeltà all’uomo, s’identifica con una precisa realtà storica - la Chiesa - quasi obbligandoci a fare i conti con l’Incarnazione, e rinnova la Sua “pretesa” di unicità salvifica inclusiva.

In secondo luogo, la Confessione porta con sé la pretesa, che la Verità di Cristo ha, di illuminare - e quindi giudicare - l’intera esistenza dell’uomo: i pensieri, le scelte, gli atti. Potremmo dire che la Confessione presuppone la “portata cosmica” della Verità di Cristo, poiché non vi è luogo nell’universo, non vi è persona a questo mondo, non vi è ambito della vita, non vi è atto dell’uomo, per quanto nascosto, non vi è cosa alcuna che non sia in rapporto con Cristo: «Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui» (Col 1,16).

Da questa Verità di Cristo Creatore, Redentore e Destino ultimo dell’uomo, deriva, poi, l’autentica statura della dignità umana: l’uomo, infatti, - tutto l’uomo e tutti gli uomini - è fatto, è creato per Cristo e per nient’altro che sia meno di Cristo; e non vi è condizione sociale, deriva culturale, situazione personale, bruttura umana, o qualsivoglia difficoltà, che possano ridurre questo profondissimo bisogno, questa irresistibile nostalgia, questa costante chiamata ad entrare nella luce e nell’amore.

Infine, la Confessione sacramentale mette a fuoco la vera portata dell’eterna Verità del Vangelo. Non si tratta, infatti, di una méta da raggiungere con le proprie forze, né di una verità astratta da riprodurre nelle nostre vite, o di una “verità sociale” da costruire su questa terra, e nemmeno di un altissimo ideale, fatto per pochi, cui debbano tentare di conformarsi le persone, i matrimoni, le famiglie, le amicizie e le società.

No, la Verità del Vangelo è una Persona, è Cristo-Dio, che di Sé ha detto: «Io sono la Verità» (Gv 14,6). Questa Verità, perfettamente e definitivamente compiuta in Lui, si apre ad ogni uomo, per mezzo del ministero della Chiesa, lo accoglie e lo trasforma interiormente, rendendolo partecipe della Vita del suo Signore. Questo potere “performante” della Verità di Cristo si sprigiona, anzitutto, nel Battesimo, immergendoci sacramentalmente e per sempre nella Sua Morte e Risurrezione, salvandoci dal peccato delle origini e donandoci di essere, in Cristo, figli di Dio e tempio dello Spirito Santo.

Ciò che è avvenuto nel Battesimo e che segna pertanto l’unica nascita sacramentale di ogni cristiano, si rinnova, poi, nel sacramento della Confessione. Ogni volta che un sacerdote accoglie un penitente in confessionale, permette a Cristo di lavare con il Suo Sangue i peccati commessi dopo il Battesimo, di trasformare interiormente il cuore pentito, con la grazia del Suo Santo Spirito, e di riportarlo così, davvero libero, alle sorgenti della Vita.

Ritengo che non vi potrà essere Nuova Evangelizzazione senza l’annuncio franco, puro ed integro della Verità di Cristo, di cui ogni verità è segno e riflesso. Non vi sarà, poi, annuncio, realmente efficace, di questa Verità, se non permettendole di raggiungere personalmente e di trasformare intimamente il cuore dell’uomo, per mezzo del sacramento della Confessione. E non vi saranno, infine, vita di fede e disponibilità al martirio, che non nascano, sempre e di nuovo, dall’incontro vivo, perché sacramentale, con la divina misericordia. Laddove la Chiesa soffre perché anemica di tutto ciò, noi non possiamo non sentirci interpellati in prima persona.

La Beata Vergine Maria nostra Madre, la Tutta Bella perché generata dalla preveniente misericordia di Dio, Colei che, essendo Immacolata, assomma in sé Verità, Bontà, Bellezza, ci prenda per mano, ancora una volta, ci conduca al Cuore del Suo Figlio, ce ne mostri l’abissale e sublime profondità, ce ne faccia innamorare, sempre e di nuovo, ci aiuti a testimoniarLo, ad annunciarLo fedelmente e a servirLo in ogni necessità della Sua Chiesa. Allora dire “nuova evangelizzazione” non sarà più enunciare uno “slogan”; sarà dire la verità.

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