FESTA DELLA DIVINA MISERICORDIA - II DOMENICA DI PASQUA

Roma, Chiesa di S. Spirito in Sassia - Santuario della Divina Misericordia, 7 aprile 2024

 

OMELIA DEL CARD. ANGELO DE DONATIS
NELL'INIZIO DEL MINISTERO DI PENITENZIERE MAGGIORE

 

24.04.07

Cari fratelli e sorelle,

Ho una grande gioia nel celebrare insieme a voi quest’eucarestia in questo luogo così significativo in cui da anni si viene come Popoli di Dio per invocare la misericordia del Signore, dove Santa Faustina ci consegna un messaggio meraviglioso. Iniziare questo nuovo servizio nella Chiesa in questo luogo non è stata una scelta a tavolino ma un dono che il Signore mi ha preparato. Quindi ripeto con voi questa bellissima preghiera “Gesù confido in te”, perché è lui che apre le strade è lui che ci precede sempre in ogni situazione della nostra vita.

Il vangelo di questa domenica, domenica della Misericordia, voluta da San Giovanni Paolo II annuncia una beautitudine: Beati quelli che non hanno visto ed hanno creduto. Se Tommaso è il discepolo che arriva a credere perché ha visto, tutti noi siamo coloro che siamo chiamati a credere senza aver visto, siamo chiamati alla beatitudine del credere senza vedere.

Se una legge il Vangelo di Giovanni non si parla spesso di beatitudini, non ci sono tanti riferimenti, uno è quello che abbiamo ascoltato nel vangelo di oggi e un altro riferimento lo troviamo dopo la lavanda dei piedi quando Gesù dice ai suoi discepoli che sono sbalorditi dal suo gesto: “In verità in verità io vi dico, un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato, sapendo queste cose siete beati, se le mettete in pratica. Ecco il secondo riferimento della beatitudine, la beatitudine di aderire al Cristo per fede e non per la missione, questa beatitudine si concretizza in una pratica, lavare i piedi ai fratelli. In altre parole dove si concretizza questa beatitudine? nel servizio, nel servizio reciproco, nel servizio fraterno. Fede e servizio sono inscindibili, non si possono separare ed il servizio fraterno, se fatto con amore, è davvero fonte di beatitudine, fonte di gioia, fonte di felicità.

Gesù viene in mezzo ai suoi dopo la sua passione e la sua morte, dice il vangelo: stette in mezzo. Questa è la postura del Risorto che dona ai suoi discepoli il perdono, che dona la misericordia. Ma i segni del servizio concreto che Gesù ha fatto nei nostri confronti, questi segni restano, sono i segni della sua passione, i segni che ci sono anche dopo la risurrezione, che continuano ad esser impressi nelle mani e nel fianco di Gesù Risorto, sono i segni dell’amore. Qualcuno le ha definite non più le ferite ma le feritoie attraverso le quali continua a giunge a tutti noi il suo amore. Sono i segni dell’amore, amare significa agire concretamente ed anche faticosamente come sono i chiodi nelle mani, amare significa avere il cuore spezzato, come indica il fianco trafitto di Gesù.

Dal fianco del crocifisso, ci dice il quarto Vangelo, erano usciti sangue ed acqua simbolo della generazione della Chiesa, la Chiesa che stava ai piedi della croce. Sulla croce Gesù aveva effuso il suo Spirito, consegnandolo alla Chiesa che stava ai piedi della croce, c’era la madre ed il discepolo amato, È bellissima la conclusione del quarto Vangelo, mente gli altri evangelisti dicono che Gesù spirò, Giovanni dice una cosa meravigliosa: Gesù consegnò lo Spirito.

È Gesù che dà la vita, me lo immagino come un bacio, in quel momento è Cristo che bacia ciascuno di noi, che bacia l’umanità intera ed attraverso il bacio trasmette la vita. E’ qualcosa di straordinario, ecco la sua misericordiosa donata a tutta la Chiesa, li ai piedi della croce. Adesso il Risorto rinnova quella pentecoste giovannea soffiando sui discepoli e donando loro lo Spirito Santo: ricevete lo Spirito Santo.

Gesù non vien in mezzo ai discepoli in maniera generica ma mostrando le ferite che gli abbiamo fatto, annunciando la pace, annunciando la remissione dei peccati grazie all’effusione dello Spirito Santo che è il perdono di Dio. Mentre noi gridavamo crocifiggilo, Lui ci ha amati di un amore capace di trasformare il male in bene, di trasformare la morte in vita. L’incredulità di Tommaso è la nostra incredulità. Di fronte a questo amore incondizionato, di fronte a questo amore incomprensibile viene fuori la nostra incapacità di credere che l’amore sia più forte della morte, che l’amore possa vincere il peccato, che l’amore possa vincere l’inimicizia, che l’amore possa vincere l’odio, che l’amore possa vincere la divisione.

Noi dobbiamo confessarlo, facciamo fatica, non abbiamo l’esperienza di questo amore così grande, ecco perché facciamo tanta fatica a riconoscerlo. Voi pensate che il brano della peccatrice perdonata era rimasto fuori dai vangeli perché faceva scandalo, non si riusciva a metterlo tra i canoni della Scrittura, perché era un perdono dato gratuitamente, non c’era stato nessun pentimento da parte di quella donna: donna nessuno ti condanna, neppure io ti condanno, va en non peccare più. Come è possibile un amore del genere, così gratuito, così immenso, così straordinario, facciamo fatica ad accogliere questo amore. La beatitudine della fede non sta più nel vedere o nel toccare il corpo di Gesù ma nel discernere il suo corpo nel fratello e nella sorella sofferente, nel riconoscere il nostro peccato che ferisce il fratello e la sorella e quindi saper chiedere perdono ed accogliere il loro perdono. È la fede nel Risorto che sostiene anche nelle prove la nostra vita e ci aiuta a camminare ad andare avanti. La salvezza è proprio questa, vivere nell’amore attendendo nella speranza la venuta del Signore. 

Ci prepariamo al Giubileo che avrà questo tema: “Pellegrini di Speranza”. La salvezza è questo, vogliamo vivere vogliamo rimanere nell’amore, vogliamo resistere nell’amore che soltanto il Risorto ci dona. E lo attendiamo nella speranza. Attendiamo nella speranza la sua venuta definitiva. Il Signore Risorto ha chiesto a Tommaso di mettere il dito nel segno dei chiodi e di mettere la sua mano sul suo costato trafitto. Noi questa sera gli chiediamo di insegnarci a vedere i segni del nostro peccato. I Padri della Chiesa dicevano che la grazia più grande che possiamo ricevere è riconcorse il peccato che abbiamo fatto, perché se lo riconosciamo sentiremo il bisogno della salvezza. Se non lo riconosciamo non avremo mai fame e sete del perdono, della misericordia, ecco perché ironicamente c’era qualche padre che si divertiva a scrivere quest’espressione: chiedi al Signore la grazia di scoprire il tuo peccato, non quello degli altri. Ed usava quest’espressione: rimani a piangere il morto che c’è in casa tua, non andare a piangere il morto che c’è in casa degli altri. Quindi la riconoscenza del proprio peccato perché questo ci apre alla misericordia di Dio. Quando uno sente che ha bisogno della vita, la vita la cerca a tutti i costi, non vuole morire. La vita piena quella che soltanto il Redentore ci può dare la desideriamo tutti perché il nostro cuore è fatto per Lui, nessun’altra cosa potrà riempire il cuore dell’uomo. I medievali giustamente dicevano che il cuore dell’umo è capax dei, è capace di Dio e soltanto l’amore di Dio ci può riempire. Ecco allora fratelli la grazia del riconoscere il nostro peccato, la grazia di vedere sul Suo corpo i segni delle nostre divisioni, i nostri odi, le nostre lotte così assurde.  Che poi sappiamo che il Corpo di Cristo è il copro dei nostri farteli e delle nostre sorelle. E quindi chiediamo di aiutarci a credere che i nostri peccati conosciuti sono perdonati, sono purificati, sono trasfigurati dall’amore di Dio perché Dio ci ha dato questo perdono incondizionato nel Figlio suo Gesù Cristo morto e Risorto per noi.

Sulla valle francescana tre sono i luoghi che si visitano Fonte Colombo, Greccio e Poggio Bustone. Quando ero in Seminario avevo legato a ciascuno di questi tre luoghi tre virtù, tre situazioni spirituali. L’obbedienza a Fonte Colombo dove Francesco aveva scritto la regola. La povertà al santuario di Greccio dove aveva fatto il presepe. La verginità, la vita pura aiutata dalla grazia a Poggio Bustone.

Perché questo terzo santuario? Per un semplice motivo perché lì san Francesco ha avuto la grazia di sentire veramente che i suoi peccati erano stati perdonati. Che meraviglia quest’esperienza spirituale, cioè no portarsi dietro nessun fardello pesante. Tante volte delle cose commesse nella vita negli anni passarti possono ritornare come macigni, come pesi da cui non riusciamo ad allontanarci. Ma questo perché forse non siamo arrivati ancora a credere totalmente che il Signore ha perdonato tutto. Il suo sangue versato ha pedinato tutto.

Vi auguro con tutto il cuore quando pensate alla vita pensatela con tre chiavi. Quando guardiamo al passato e certe cose ritornano e vengono fuori la chiave per leggerle è il perdono. Quando una cosa viene fuori dire no, lui mi ha già padronato. Il perdono l’ho già aiuto, il Signore ha risanato la mia vita. Questa è la chiave per leggere il passato. La chiave per leggere il presente è la chiave dell’eternità. Quando leggiamo l’oggi dobbiamo dire che è illuminato dalla luce che mi attende, la luce della vita eterna, non posso perdermi in piccole situazioni, quello che sto vivendo deve essere illuminato dalla pianezza della vita. Il presente non è la nostra patria definitiva ma essa è il cielo. La chiave per leggere il futuro è quella della fiducia. Tante volte ci chiediamo cosa sarà del mio futuro, che cosa mi attende, , in questi tempi così difficili, dove stiamo toccavo con mano tante malvagità, quale sarà il nostro futuro? Quale sarà il futuro dei nostri ragazzi die nostri figli? La fiducia sia la chiave per leggere il futuro. La realtà è questa non sappiamo cosa ci attende ma una cosa è certa che Dio non ci abbandona, che Dio è con noi, che Dio cammina con noi, lui guida la storia.

Continuino a pregare insieme per dire: Gesù confido in te.